Ciclismo - Preparazione al Ciclismo

Non c'è mercato per il ciclista bio
di Gian Marino Martinaglia

Non c'è mercato per il "ciclista bio".

Il doping nel mondo professionistico è inevitabile. 

Si parla di ciclismo ma si può pescare chi "bara" in tutto il business sportivo. 

Tutti hanno interesse a che si aumentino le prestazioni sportive: dagli sponsor, alle case farmaceutiche, dalle squadre sino al singolo corridore, persino le federazioni. 
L'UCI in pratica "legalizza" il doping fissando il valore dell'ematocrito a 50 per eccesso, così tutti in pratica potenziano il proprio tasso di globuli rossi nel sangue per mettersi alla pari con gli altri, dando il via alla competizione farmacologica. 
Che sia la squadra ad occuparsi dell'assistenza medica presenta persino dei risvolti positivi rispetto ai metodi "fai da te" che venivano o vengono eventualmente ancora usati dai ciclisti privi del supporto necessario. 
In un certo senso c'è stata una diffusione "democratica" della medicina sportiva a beneficio di tutti. Ma i progressi farmaceutici sono anche sperimentazioni incredibili che hanno prodotto vere bombe dagli effetti imprevedibili (il PFC). Si va forte rischiando la salute, quasi impegnandola da giovane per un futuro meno "sprintante". In realtà ora bisognerà trovare una cura "metadonica" per un'uscita graduale da una competizione esasperata, simile alla corsa del mondo verso il progresso che produce squilibri e si lascia dietro una scia di paesi sottosviluppati, sfruttati per le loro risorse e illusi di correre "alla pari".

Parimenti si potrà tentare di riscoprire il valore del "ciclista bio", per il quale conta di più la salute, un'alimentazione "ecologica" - oserei dire -, lo spirito sportivo e il senso di una professione che ti fa conoscere la gente, girare il mondo - come diceva Koblett - gratificandoti anche nella fatica quando sai che è tutta tua

Per ora il ciclista bio vive tempi duri: da giovane dilettante o si mette in corsa e accetta il gioco o rinuncia.
 Gli rimane un terreno variegato di competizioni dove non è escluso che si emuli la categoria maggiore ormai palesemente compromessa. 

Il ciclismo invece non deve essere vissuto e alimentato in funzione del professionismo, quest'ultimo è un'opportunità ulteriore ma non è lo scopo unico di chi fa sport, neppure sono sicuro che il professionismo di oggi sia la massima espressione dello sport. 

La via sta nel ritorno alle origini, senza negare ma profittando con coscienza dei progressi tecnologici e medici. 
Se non sarà possibile scindere completamente lo sport dagli esasperati interessi speculativi, si potrà almeno ricaricare il campione di un plus valore etico più vicino agli albori della bicicletta. 

Significa allargare il "mercato" del ciclista bio abbattendo i prezzi e liberando risorse più utili alla prevenzione del doping e alla promozione della salute. Si tratta di un'ottica completamente diversa da quella attuale: l'aiuto allo sport, confluito altrove in costose strutture come campi da calcio, palestre ecc., deve tradursi per il ciclismo in sostegno alle associazioni cicloturistiche, ai velo club, nell'azzeramento dei costi delle manifestazioni competitive e non - che in definitiva fanno bene all'ambiente e non solo - e infine nella lotta al doping e nelle campagne di promozione della salute. 

Si potrebbe ad es. offrire un test medico sportivo di base gratuito e una card personale che apre la strada ad un ciclismo pulito anche competitivo. 

Dal cicloturismo alle prestazioni sportive d'alto livello, passando per le gran fondo di resistenza e le corse open è probabile che il divario ora "truccato" fra il professionista e il dilettante appaia in una luce diversa...

di Gian Marino Martinaglia
e-mail: [email protected]
url: http://utenti.tripod.it/gianmarino/ 

 

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