Non c'è mercato per il ciclista bio Non c'è mercato per il "ciclista bio". Il doping nel mondo professionistico è inevitabile. Si parla di ciclismo ma si può pescare chi "bara" in tutto il
business sportivo. Tutti hanno interesse a che si aumentino le prestazioni sportive: dagli
sponsor, alle case farmaceutiche, dalle squadre sino al singolo corridore,
persino le federazioni. Parimenti si potrà tentare di riscoprire il valore del "ciclista
bio", per il quale conta di più la salute, un'alimentazione
"ecologica" - oserei dire -, lo spirito sportivo e il senso di una
professione che ti fa conoscere la gente, girare il mondo - come diceva
Koblett - gratificandoti anche nella fatica quando sai che è tutta tua. Per ora il ciclista bio vive tempi duri: da giovane dilettante o si mette
in corsa e accetta il gioco o rinuncia. Il ciclismo invece non deve essere vissuto e alimentato in funzione del
professionismo, quest'ultimo è un'opportunità ulteriore ma non è lo scopo
unico di chi fa sport, neppure sono sicuro che il professionismo di oggi sia
la massima espressione dello sport. La via sta nel ritorno alle origini, senza negare ma profittando con
coscienza dei progressi tecnologici e medici. Significa allargare il "mercato" del ciclista bio abbattendo i
prezzi e liberando risorse più utili alla prevenzione del doping e alla
promozione della salute. Si tratta di un'ottica completamente diversa da
quella attuale: l'aiuto allo sport, confluito altrove in costose strutture
come campi da calcio, palestre ecc., deve tradursi per il ciclismo in
sostegno alle associazioni cicloturistiche, ai velo club, nell'azzeramento
dei costi delle manifestazioni competitive e non - che in definitiva fanno
bene all'ambiente e non solo - e infine nella lotta al doping e nelle
campagne di promozione della salute. Si potrebbe ad es. offrire un test medico sportivo di base gratuito e una
card personale che apre la strada ad un ciclismo pulito anche competitivo. Dal cicloturismo alle prestazioni sportive d'alto livello, passando per
le gran fondo di resistenza e le corse open è probabile che il divario ora
"truccato" fra il professionista e il dilettante appaia in una
luce diversa... di Gian Marino Martinaglia Tabelle, schemi, consigli e teorie
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di Gian Marino Martinaglia
L'UCI in pratica "legalizza" il doping fissando il valore dell'ematocrito
a 50 per eccesso, così tutti in pratica potenziano il proprio tasso di
globuli rossi nel sangue per mettersi alla pari con gli altri, dando il via
alla competizione farmacologica.
Che sia la squadra ad occuparsi dell'assistenza medica presenta persino dei
risvolti positivi rispetto ai metodi "fai da te" che venivano o
vengono eventualmente ancora usati dai ciclisti privi del supporto
necessario.
In un certo senso c'è stata una diffusione "democratica" della
medicina sportiva a beneficio di tutti. Ma i progressi farmaceutici sono
anche sperimentazioni incredibili che hanno prodotto vere bombe dagli
effetti imprevedibili (il PFC). Si va forte rischiando la salute, quasi
impegnandola da giovane per un futuro meno "sprintante". In realtà
ora bisognerà trovare una cura "metadonica" per un'uscita
graduale da una competizione esasperata, simile alla corsa del mondo verso
il progresso che produce squilibri e si lascia dietro una scia di paesi
sottosviluppati, sfruttati per le loro risorse e illusi di correre
"alla pari".
Gli rimane un terreno variegato di competizioni dove non è escluso
che si emuli la categoria maggiore ormai palesemente compromessa.
Se non sarà possibile scindere completamente lo sport dagli esasperati
interessi speculativi, si potrà almeno ricaricare il campione di un plus
valore etico più vicino agli albori della bicicletta.
e-mail: [email protected]
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