Ciclismo - Preparazione al Ciclismo

Il Ciclismo : 1986-1989

 

1986

Per il ciclismo italiano il 1986 è stato l'anno del riscatto. Dopo i deludenti risultati del 1985 i corridori azzurri sono stati infatti gli assoluti protagonisti della stagione, andando a cogliere importantissime affermazioni nelle più diverse discipline del pedale. Le maggiori soddisfazioni sono venute dal settore professionistico, dove a turno gli atleti migliori di casa nostra hanno centrato quasi tutti i più importanti appuntamenti del calendario internazionale. Moreno Argentin, dopo aver trionfato in apertura di stagione nella Liegi-Bastogne-Liegi, ha regalato all'Italia la vittoria più importante dell'anno andando a vincere il Campionato Mondiale sul traguardo di Colorado Springs (Stati Uniti); Roberto Visentini si è affermato con pieno merito nella sessantanovesima edizione del Giro d'Italia, ottenendo così quella grande affermazione di prestigio che ancora mancava nel suo "palmares"; Guido Bontempi si è confermato velocista principe del ciclismo internazionale andando a vincere due "classiche" prestigiose come la Parigi-Bruxelles e la Gand-Wevelgen, ed ha chiuso la sua stagione strepitosa vincendo cinque tappe al Giro e tre al Tour. Ad arricchire la felice annata del ciclismo azzurro sono venute poi le brillanti prestazioni di Gianni Bugno, che al primo anno tra i professionisti, ha vinto Giro del Piemonte, Giro dell'Appennino e Giro del Friuli, dimostrandosi corridore completo e di sicuro avvenire. Il 1986 è stato importante anche per Giovanbattista Baronchelli: il corridore forse più discusso di casa nostra si è infatti aggiudicato in splendida solitudine il Giro di Lombardia e ha conosciuto anche la soddisfazione di vestire la sua prima maglia rosa al Giro d'Italia. Pur non vincendo molto, lo stesso Giuseppe Saronni ha dimostrato di aver raggiunto la forma dei bei tempi conquistando un significativo secondo posto al Giro e la medaglia di bronzo ai Mondiali. Non ci sono poi aggettivi per definire le imprese di Francesco Moser. Sulla pista milanese del Vigorelli, l'inossidabile campione trentino ha infatti ancora una volta stupito il mondo, migliorando per ben due volte il record dell'ora: la prima volta il 26 settembre, alla media di 48,544 Km/h, la seconda il 3 ottobre, alla incredibile media di 49,802 Km/h. Oltre ai corridori italiani fin qui ricordati, hanno avuto una stagione indubbiamente positiva anche l'irlandese Sean Kelly, vincitore della Milano-Sanremo e della Parigi-Roubaix, e lo statunitense Greg Lemond, dominatore della sessantatreesima edizione del Tour de France. Privo di importanti successi è stato il 1986 di Bernard Hinault. Non per questo comunque il campione francese è venuto meno al proposito che nel corso della stagione aveva più volte manifestato ed al termine dei Campionati Mondiali ha annunciato il suo definitivo ritiro dall'attività agonistica. Come abbiamo ricordato in apertura, i successi italiani non sono venuti solo dalla strada. Un secondo titolo iridato è arrivato infatti anche dal ciclocross, per merito del dilettante Vito Di Tano che ha così bissato il successo già ottenuto nel 1979. Ed anche gli atleti della pista hanno ben figurato ai Campionati Mondiali, finendo secondi nel medagliere alle spalle della sempre fortissima e inarrivabile Germania Est. Le due medaglie d'oro sono venute dal mezzofondo professionisti e dilettanti, per merito rispettivamente di Vicino e Gentili. A completare infine i trionfi del 1986 è venuta l'affermazione di Maria Canins al Tour de France. Insieme ai tanti trionfi siamo purtroppo costretti a ricordare un episodio doloroso: la morte, avvenuta il 15 maggio, del corridore neoprofessionista Emilio Ravasio. Per le conseguenze di una terribile caduta, Ravasio era entrato in coma irreversibile subito dopo la conclusione della prima tappa del Giro d'Italia. Non si può concludere il racconto del 1986 senza ricordare Alfredo Binda, il campionissimo del ciclismo italiano morto il 27 maggio all'età di 84 anni. Il leggendario Alfredo, oltre che per le sue numerosissime vittorie, è destinato a rimanere per sempre nella storia del ciclismo per essere stato l'unico corridore pagato per non prendere parte ad una edizione del Giro, quella del 1930.

1987

Un anno targato Roche Il ciclismo 1987 manda un saluto a Franceso Moser e un tributo a Stephen Roche dominatore della stagione. Ma, per favore, non scomodiamo personaggi leggendari come Fausto Coppi o come Eddy Merckx e nemmeno come Gino Bartali e Jacques Anquetil che purtroppo a novembre ci ha lasciati, vittima di una gravissima malattia. Stephen Roche è un gentleman irlandese che nel 1987 ha messo K.o. tutto il ciclismo mondiale, quasi fosse Mike Tyson, entrando nella leggenda, ma certi paragoni lasciamoli nella penna. Roche ha fatto come Merckx, ha vinto cioè Giro d'Italia, Tour de France e il campionato mondiale, inoltre si è aggiudicato la Parigi-Nizza, grande classica, ma non è sicuramente n‚ Coppi n‚ Merckx. E' un ottimo corridore, il migliore in circolazione oggi, ha vinto a mani basse ma attorno, di grazia, vi è poco. L'unico che lo ha infastidito è Argentin, che ha ripetuto per la terza volta la Liegi-Bastogne-Liegi ed ha vinto il Giro di Lombardia e si è piazzato al secondo posto nel "mondiale" di Villach in Austria. Gli altri han fatto a gara a vincere una volta ciascuno: lo svizzero Maechler la Milano-Sanremo, Van Vliet la Gand-Wevelgem, Vanderaerden la Parigi-Roubaix. Insomma, attorno all'irlandese dagli occhi azzurri, dal sorriso accattivante, dai modi garbati, il vuoto assoluto. Vincere Giro d'Italia, Tour de France e Campionato del Mondo non è impresa da poco per cui Stephen Roche va messo tra i grandi ma senza paragoni, anche perch‚ - anzi, soprattutto - nelle tre grosse vittorie nessuno lo ha controbattuto di forza. E' stato bravissimo in Italia nel Giro, ha avuto strapotenza al Tour, ha cercato di dare furbescamente una mano al suo connazionale Kelly ai "mondiali" di Villach (Kelly, ecco uno che gli può contendere la palma, ma solo nelle corse in linea) e quando ha visto che poteva fare la tripletta, non ha esitato: ha giocato d'azzardo ed ha vinto. Protagonista numero uno del 1987, Stephen Roche, irlandese che vive in Francia, sarà l'uomo da battere nel 1988. Ma chi sarà in grado di farlo? Ritiratosi Moser, sul viale del tramonto Beppe Saronni, gli italiani si guardano attorno. Il solo Argentin può contrastarlo. Moreno è l'uomo adatto: la stoffa del campione la possiede. Aveva lasciato il 1986 con la maglia iridata e qualche buona prestazione in Europa; nel 1987 si è accontentato di vincere per la terza volta, con mossa furbesca, la Liegi-Bastogne-Liegi, è giunto secondo a Villach nel "mondiale" ed in finale di stagione ha salvato la faccia del ciclismo italiano vincendo il Giro di Lombardia, classica d'autunno. E' stato l'unico italiano sul podio dei mondiali, come Bugno. Giovani emergenti ce ne sono, bisogna vedere fino a che punto lo siano. Non è stato un anno DOC per il ciclismo italiano, insomma. Il 1986 si era chiuso con prepotenza e l'azzurro era stato il colore sul più alto pennone. Era facile prevedere che sarebbe stato difficile ripetersi, ma qualcosa in più ci si aspettava. E' stato l'anno del ritiro di Francesco Moser, un campione che lascia un grandissimo vuoto. Il trentino, alla fine del 1986, aveva festeggiato l'anno con il favoloso record del mondo dell'ora a livello del mare, record conquistato al velodromo Vigorelli, riuscendo a far meglio di Eddy Merckx; nel 1987 ha tentato due volte di battere anche il record della stessa specialità al coperto, record che è in possesso di un dilettante sovietico, Viatcheslav Ekimov. Francesco, a Mosca, nel velodromo al coperto fallisce il tentativo mondiale. Si accontenta di battere quello dei professionisti e non l'assoluto che è di 48,637 km orari. E' il 10 ottobre. Il 16 dello stesso mese Francesco ritenta sulla pista di Vienna. Non ce la fa, si ferma dopo mezz'ora. E dichiara di abbandonare il ciclismo su strada, si accontenterà di qualche "sei giorni". La delusione moscovita e poi quella di Vienna non cancellano tuttavia le imprese di un grande campione. Del ciclismo moderno, quello di oggi, Francesco Moser è stato l'interprete migliore. E' stato campione del mondo, ha vinto tre volte la Parigi Roubaix (è una corsa massacrante e se non si è campioni non la si vince), ha lasciato con due titoli ancora suoi: il record del mondo assoluto dell'ora in altura e quello dei professionisti a livello del mare, all'aperto e al coperto. Ha vinto tutto quello che un campione di ciclismo può vincere: Campionato del Mondo, Giro d'Italia, Milano Sanremo, Giro di Lombardia. Non ha mai vinto il Tour, ma non era roba per lui non essendo mai stato uno scalatore. E' stato campione del mondo anche nell'inseguimento vincendo alla grande. E' stato ammirevole per il coraggio che gli ha permesso di affrontare situazioni nelle quali poteva soltanto perdere. Senza di lui, il mondo del ciclismo, specie quello indigeno, sarà molto più povero soprattutto perch‚, al momento, uno come lui non c'è. Non è stato nemmeno un anno meraviglioso per il ciclismo dilettantistico, però - a differenza dei professionisti - qualcosa ha vinto. La medaglia d'oro ai campionati mondiali di Villach nella 100 chilometri a squadre con Poli, Scirea, Vanzella e Fortunato, il mezzofondo dilettanti con Gentili, la 70 chilometri a cronometro juniores con Colombo, Daddi, Fina e Tarocco. Qualcosa è venuto a casa, ma eravamo abituati a ben altri titoli.

1988

Fondriest e l'addio di Moser Due grossi colpi hanno caratterizzato l'annata del ciclismo azzurro: il titolo iridato di Maurizio Fondriest e la chiusura alla grande di un altrettanto grande ciclista: Francesco Moser che a Stoccarda, nella Germania dell'Ovest, ha conquistato un nuovo eccezionale record dell'ora su pista al coperto dopo i due tentativi andati a vuoto a Mosca ed a Vienna. Sono gli unici due exploit di una stagione dai minimi storici del nostro ciclismo, deludente sin dall'inizio, comunque secondo previsioni. Non abbiamo vinto una "classica": il Giro d'Italia è andato ad un americano (Hampsten), il Tour lo ha vinto Delgado, la Vuelta spagnola è stata appannaggio di Kelly (che ha poi vinto anche la classica Parigi-Nizza). La Milano-Sanremo ha visto al traguardo il francese Fignon (non è servito l'acuto di Fondriest), il Giro delle Fiandre Planckaert, la Parigi-Roubaix Demol, la freccia Vallona Golz, la Liegi-Bastogne-Liegi Van der Poel, la Parigi-Bruxelles ancora Golz, il Gran Premio delle Nazioni Mottet, la Parigi-Tours Pieters e il Giro di Lombardia, ultima classica prima della chiusura della stagione, ancora Mottet. Agli italiani sono rimaste le briciole. Il buon secondo posto di Fondriest, come si è detto, nella Milano-Sanremo, il piazzamento d'onore di Bugno nel Giro di Lombardia, il secondo posto di Argentin nella Freccia Vallona. Tutto qui. Fondriest e Bugno sono gli unici capaci di tenere testa agli stranieri, gli altri sono poca, anzi pochissima cosa. Quando si pensa che campione italiano professionisti è un certo Pierino Gavazzi, anni 35, da almeno 18 sulla breccia, si è detto tutto. Corridori capaci di eguagliare i campioni del passato (Gimondi, Adorni, Moser, Saronni tanto per restare agli ultimi) non se ne vedono veramente. A meno che Fondriest e Bugno... Diamo, invece, un voto altissimo alle azzurre capitanate dalla intramontabile Maria Canins che ha saputo guidare il quartetto delle donne (Canins-Galli-Bonomi-Bandini) al titolo iridato della prova a squadre a Renaix in Belgio, laddove ha ancora vinto la Janine Longo nell'individuale e dove la domenica doveva laureare Fondriest iridato. Prima di parlare di Fondriest, bisogna salutare alzandosi in piedi Francesco Moser che ha chiuso la sua attività cosparsa di rose, con la conquista del primato dell'ora su pista coperta, tornando ancora una volta da un "viaggio nell'impossibile". Moser aveva chiuso la sua attività su strada, ma quel record mondiale dell'ora al coperto che non aveva potuto far suo a Mosca prima ed a Vienna poi, gli stava veramente sullo stomaco. Lui, proprietario del record in altura conquistato a Città del Messico (51,151 nel 1984) e del record a livello del mare conquistato al velodromo Vigorelli di Milano (49,802 nel 1986), non voleva abdicare senza fare il tris. A Stoccarda nella Germania dell'Ovest, il 21 maggio, con quella ruotona da spingere, ha centrato il colpo con uno straordinario 50,644 chilometri, superiore di 928 metri al record del sovietico Emikov. Moser chiudeva definitivamente la carriera agonistica, mettendo in cornice quel record. Dopo Moser, Maurizio Fondriest dà ancora qualcosa alla stagione. L'iride di Fondriest è un vero regalo del canadese Steve Bauer, ma nel ciclismo succede: chi sbaglia paga favorendo l'avversario. Tutto è successo in Belgio, a Renaix. In fuga verso il traguardo, dopo la grande selezione, sono in tre: il belga Criquieillon, il canadese Steve Bauer e il nostro Maurizio Fondriest che in volata sembra essere, dei tre, il più veloce. A 500 metri dalla fettuccia d'arrivo Bauer, con una spallata, fa fuori Criquiellon mandandolo per terra (ed accompagnandolo), Fondriest ha via libera e conquista l'iride, il tredicesimo titolo di campione del mondo italiano da mettere nel libro d'oro. Fondriest diventa iridato senza colpa e con qualche merito, quello di essere arrivato al traguardo, almeno sino ai 500 metri, in linea per una possibile vittoria. Gliel'hanno servita su di un piatto d'argento, non ha potuto buttarla via. Due acuti italiani nel ciclismo mondiale 1988. Il terzo acuto poteva darlo Moreno Argentin, ma il vicentino ha avuto una stagione sbagliata e stortunata. Fratturato prima del Giro d'Italia, non ha più ripreso quella forma necessaria per inserirsi, mancando le classiche, come il Giro di Lombardia. Al varco del 1989 è atteso con Bugno e Fondriest: sono i tre possibili "bigs" del nostro ciclismo. Non è comunque stata una "grande stagione" anche per gli altri fuoriclasse stranieri: Fignon, dopo la Milano-Sanremo è sparito, Kelly ha avuto tre acuti: la Parigi-Nizza, la Settimana Catalana e il Giro di Spagna. Delgado ha vinto il Tour con il sospetto di un possibile doping cancellato in fretta. Così come sono spariti Planckaert, Demol e Van der Poel vincitori delle classiche. Alla vista non c'è, insomma, un campionissimo.

1989

Lemond-Fignon, il resto nebbia - Per noi solo la pista E' inutile sperare nel ciclismo nazionale. Ci ha salvato la pista con Claudio Golinelli, gli altri sono spariti o, meglio ancora, non sono esistiti. Non una corsa intera, ma solo qualche tappa al Giro d'Italia. Forse siamo stati abituati troppo bene: nemmeno il campione del mondo Fondriest e nemmeno Bugno, dai quali ci si aspettava qualcosa di buono, sono riusciti nelle imprese. Bugno è diventato come Tano Belloni (sempre secondo), Fondriest è quasi sempre rimasto al palo. Solo due corridori hanno reso avvincente il campionato: il francese Laurent Fignon e l'americano Greg Lemond. C'è stato qualche spunto di Mottet, di Kelly e di Nijdam, ma quando si dice che anche una classica, come Freccia Vallona, è stata vinta da un veterano come Criqueillon, allora vuol dire che il ciclismo non ha ancora trovato il fuoriclasse, dopo le scomparse dei cosiddetti grandi. Il duello (se così si può chiamare) è stato (appunto) tra Greg Lemond e Fignon, vinto per 2-1 dall'americano che si è aggiudicato il Tour de France e il Campionato del Mondo, mentre il francese si è aggiudicato il Giro d'Italia. Questo per quanto riguarda corse a tappe e mondiale. Per quanto concerne le classifiche, Fignon si è aggiudicato la Milano-Sanremo, Lemond nessuna. Inoltre Fignon si è aggiudicato il Gran Premio delle Nazioni e, in coppia con Marie, il trofeo Baracchi e il Gran Premio d'Europa, classiche a cronometro, mentre Lemond ha preferito disertarle. C'è anche una nota stonata, quella del doping. Protagonista è proprio Laurent Fignon, risultato positivo in una cronometro a squadre. Un giallo soprattutto perch‚ il francese, in quella corsa, mai più pensava di dover essere sottoposto all'antidoping. Greg Lemond sembrava essere avviato ad una stagione incolore: si era rimesso dalla... fucilata del cognato che lo aveva immobilizzato per parecchio tempo, ma al Giro d'Italia lo si era visto arrancare sull'Etna nascosto tra i gregari. In quella abbordabile salita molti avevano pensato che ormai la classe fosse rimasta in quella battuta di caccia negli Stati Uniti. Il Giro lo vinse Fignon ed alla partenza del Tour nessuno avrebbe giocato un nichelino sulla vittoria di Greg. Ci fu, invece, la rimonta partendo dalla cronometro di Rennes sino alla crono di Parigi attraverso Pirenei e Alpi. Una crono che cancellò tutti i sogni di Laurent Fignon, proprio in casa sua, davanti ai suoi connazionali. Lemond aveva vinto il Tour all'ultimo chilometro, agghiacciando tutti i fans di Fignon e i mass media francesi che già avevano formulato elogi per il loro idolo sin lì in giallo. Anche il "Mondiale" in Savoia, sempre in terra di Francia, proponeva la rivincita e sulle colline di Chambery, invece è stato l'americano a beffarsi del francese: Fignon in fuga, Lemond che lo insegue, lo raggiunge, lo stacca e vince insieme a Konyshev, a Kelly. Un bis storico che rattrista ancora i francesi, nazionalisti per eccellenza. A Fignon non resta che la rabbia delle ultime classiche a cronometro, mentre Lemond torna negli States a godersi la popolarità e i dollari che ha guadagnato, rifiutando di partecipare alle ultime corse europee e alle battute di caccia. E' possibile dare un voto ai nostri corridori? Tentiamo. Il migliore è stato senza dubbio Bugno che merita un 7. Argentin ha vinto il titolo italiano (non c'erano stranieri), per il resto ha fatto cilecca: 6. Fondriest ha collezionato solo secondi posti: 5. Saronni è sparito: non merita nemmeno il voto. Giupponi era il classico giovane di belle speranze. Lo chiamavano "Il Coppino". Un insulto! Senza voto. E inclassificabili anche tutti gli altri, tanti ma nemmeno mediocri. Ci ha salvato la pista e dobbiamo ringraziare questi corridori, dimenticati per undici mesi su 12, che nell'unico mese che rimane riescono a farci guadagnare un poco di prestigio. Così, nel mezzo di una stagione tutta da dimenticare, Claudio Golinelli coglie uno storico bis ai mondiali di Lione in Francia, vincendo la velocità e il keirin, specialità che negli ultimi anni erano state appannaggio dei giapponesi. Golinelli ha indossato la maglia iridata 21 anni dopo l'ultimo successo azzurro di Beghetto a Roma e 25 anni dopo il trionfo del grande Antonio Maspes, cinque volte mondiale, l'ultimo dei quali proprio a Parigi. E' una doppietta, quella di Golinelli, che merita più rispetto che applausi, una doppietta colta da un campione eccentrico che di colpo ha eliminato debolezze e dubbi, una rivincita per quel sorprendente episodio del 1988 che lo ha visto "positivo" all'antidoping (ma non era vero). Golinelli, insomma, voleva la rivincita e l'ha ottenuta. Sulla pista di Lione ha stroncato gli avversari, con estrema facilità, potenza e sicurezza. E nel keirin si è ripetuto sfruttando al meglio le sue qualità. Due parole si devono spendere per una donna, la francese Jeannie Longo, la grande rivale della nostra Canins, la valligiana che ormai un po' avanti con gli anni ha deciso di dedicarsi solo allo sci. Per la Longo è stato un 1989 di grandi soddisfazioni: ha vinto per la terza volta il Tour de France, ha conquistato tre medaglie d'oro ai "Mondiali" ed ha chiuso stabilendo il nuovo record orario con 46,352.

un grazie a Filippo R. per gli articoli.

 

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