Psicologia Negli sport di squadra ma ancor più in quelli individuali, la componente psicologica e' la vera chiave di volta. La forma fisica
può essere anche esuberante e ottimali le condizioni di gioco ma se "dentro" non c'è pace con se stessi e fiducia determinata il risultato e' scarsa efficienza. tecniche di rilassamento, training autogeno e autoinduzione sono di grande aiuto quindi con commettete l'errore di sottovalutarle. Il corpo agisce ma e' la mente, tutta, che
sovrintende. E condiziona.
L'apprendimento di
un gesto tecnico é un processo graduale; si arriva ad interiorizzarlo passo
dopo passo. Lo avrete realmente compreso quando sarà diventato automatico,
spontaneo, economico, divertente.
L'allegria e il
buonumore fanno dell'allenamento un buon allenamento. Se il morale non e' quello
giusto, leggete piuttosto un libro stimolante: allenandovi non fareste che
scaricare fatica sulla depressione. A voi giudicare l'opportunità' del
risultato.
Il gesto geniale e
inaspettato, l'interpretazione personalissima di una azione consueta, il non
fare mai intuire le tue intenzioni all'avversario ma anzi sviarlo. In una
parola: l'imprevedibilità'. E proprio l'imprevedibilità' fa di un giocatore un
fuoriclasse, colui che ti sorprende e sconcerta. Ed entusiasma chi guarda.
Il piacere di
arrampicarsi su di un albero e' enorme e probabilmente evoca ricordi atavici.
Fate che questa gioia non manchi ai vostri figli. Oltre tutto e' un esercizio di
una completezza esemplare e quel poco di coraggio che richiede consolida la
fiducia in se stessi.
Niente allena ad
automatizzare un gesto atletico come il ripeterlo ed il ripeterlo ancora: il
cervello funziona per approssimazioni successive. Questo può diventare noioso e
quindi compito dell'allenatore avvertito e' escogitare variazioni ed espedienti
che consentano di agire sul medesimo schema motorio senza annoiare
l'atleta.
La fantasia
nell'interpretare il gesto tecnico specifico o uno schema di gioco e' un dono di
natura che che non può prescindere dalla tecnica: l'atleta estroso e' colui che
da' impronta personale a quanto gli altri eseguono e basta, ma che riesce a
farlo perché ha dovuto, comunque, imparare con fatica, applicazione,
umiltà.
Un espediente
molto utilizzato dagli atleti evoluti è quello di ripercorrere mentalmente la
sequenza dei movimenti che completeranno il gesto tecnico specifico. E' un modo
per dare al cervello la possibilità di controllare e rivedere con cura, quasi
alla moviola, quanto dovrà ordinare in seguito in vista del risultato.
A volte ci capita
di cercare di sollevare un grave, che non supponevamo così pesante, e di non
riuscirci. Poi, tra il sorpreso e il risentito, ci riproviamo e lo smuoviamo.
Non siamo improvvisamente diventati più forti, e' solo che il nostro stimolo
nervoso molto più deciso ha coinvolto nella contrazione più fibre negli stessi
muscoli che prima avevano fallito.
Gli sport estremi
possiedono un fascino tutto particolare. Fanno scattare molle non ancora
arrugginite da millenni di evoluzione e risvegliano pulsioni ancora vivide. Ci
riportano alla necessità di affrontare sfide e superare prove che un tempo
significavano sopravvivenza, oggi solo riconciliazione appagata con noi stessi.
E non e' poco.
La facilità
nell'apprendere un movimento dipende dalla individuale predisposizione genetica,
ma anche dalla ricchezza del patrimonio motorio del quale già siamo padroni. Il
cervello e' capace di utilizzare schemi che già conosce per adattarli ad
esigenze nuove. Dategli una congrua e variata quantità di stimoli e apprenderà
sempre meglio e più in fretta.
E' esperienza
piacevole, e rilassante, percorrere mentalmente (con lentezza e ad occhi chiusi)
le parti del corpo che avete sottoposto a sforzo intenso. E' un esame, una
"visita cerebrale" capace di far affiorare alla coscienza dolenzie,
contratture, risentimenti articolari ancora in abbozzo ma che potrebbero
aggravarsi. Una sorta di autodiagnosi protettiva poco praticata e invece
utilissima.
L'eterna diatriba
sull'opportunità o meno di avere rapporti sessuali in prossimità di un impegno
sportivo e' tutt'ora ben viva. Perché nessuno ha fissato paletti fisiologici
precisi ed incontrovertibili. Probabilmente è l'estrema variabilità
individuale a rendere impossibili regole comuni e dovrebbe così essere una
scelta lasciata rispettosamente alla sensibilità e alla serietà del singolo
atleta.
Spesso sono i
genitori, memori di frustrazioni giovanili, a pretendere da figli anche
giovanissimi applicazione assidua e specializzazione precoce in una attività
sportiva. Fatalmente il giovane intelligente alla lunga reagisce con il
disgusto, quello meno autonomo con la monomania.
Le prestazioni
degli atleti ai vertici sono sempre più distanti da quanto può riuscire ad un
comune dilettante. Inutile prenderle a riferimento. Datevi obiettivi possibili,
equilibrati e distanti da quanto, spesso compromettendo la propria integrità
fisica, raggiungono i cosiddetti "superatleti".
Voglia di
mollare lo sport è atto voluto, in coscienza. E' invenzione della specie
"uomo" nella quale si rispecchiano e si presentano tutte le situazioni
e le pulsioni della vita di ogni giorno, da quelle inconfessabili fino a quelle
sublimi. Se questo stimolo a confrontarsi (nell'ambito di regole semplici, certe
ed eque) si attenua o scompare, allora dentro qualcosa si è rotto. O è rimasto
deluso profondamente. Lo stravolgimento ormai pervasivo che si è impadronito
strisciando del mondo dello sport giustifica molte amarezze e tanti abbandoni.
Solo un'ultima considerazione: un'attività sportiva vissuta a lungo con
dedizione e lealtà ci ha reso sicuramente migliori e per sempre, più maturi e
tolleranti. Anche se poi ha finito per disilluderci o disgustarci.
La
giornata storta: siccome ogni giorno, di giorno in giorno, non siamo uguali ma
solamente "simili" a noi stessi è ben possibile che capiti la
"giornata storta". Questa non fausta disposizione d'animo che ci
affligge nella vita di relazione diventa ostacolo serio per un allenamento
proficuo. Inutile insistere e costringersi se il cervello e il corpo vi dicono
che non e' il caso di farlo. Verranno sicuramente giornate migliori.
Fatica estrema: la sensazione di "non poterne
più" ha origini neuro-sensoriali profonde. Il sintomo complesso:
"fatica estrema-esaurimento" sorge dal tessuto muscolare, dai
recettori tendinei, da un cuore affaticato e da polmoni esausti. E' legittimo
che si sforzi di vincerlo l'alpinista a due passi dalla vetta e con un
baratro sotto. Non ha senso violentarsi se in allenamento e in un ambiente
comodo e sicuro. Essere stanchi significa aver fatto un buon lavoro,
essere esausti significa che si e' esagerato, e costringersi a proseguire
che senso avrebbe?
LA SINDROME DA GARA La "sindrome da gara" e'
quell'insieme di fenomeni e sensazioni che rendono un atleta, pur validissimo e
in allenamento, incapace di esprimersi in gara con tutta la propria efficacia.
Chi ne e' preda avverte le gambe tremolanti e come svuotate, lo stomaco
contratto, la voglia di essere altrove. Il cervello, che teme il confronto e
l'eventuale smacco, lavora quasi per impedire che tutto ciò avvenga e provoca
sensazioni di inadeguatezza. Molti, con l'esperienza, riescono a vincersi.
Alcuni mai. FitBit - consigli di fitness in pillole
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Lo stress da competizione è una sindrome semiparalizzante ed è piuttosto
comune. Accade che, oppresso dal peso dell'ansia da prestazione, il cervello
stenti ad inviare ordini coerenti per intensità e tempestività; quasi che la
comunicazione con l'apparato locomotore avesse perso di nitidezza. Chiaramente
la qualità del rendimento ne soffre e un gesto pur abituale
diventa meno preciso e più faticoso. Puoi utilmente ricorrere a tecniche di
autointroduzione e al training autogeno (in libreria e su internet troverai
documentazione vastissima) perché sono le più adatte a rimuovere questi
"blocchi". Non sarà una soluzione immediata ma è l'unica via per
riuscire ad "autoassicurarsi". Assieme al pensiero, quando scendi in
campo, che non sei proprio solo tu ad avere in mano le sorti del mondo.
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