E' perfettamente vero, come dicono i filosofi, che
la vita deve essere capita guardando indietro. Ma essi dimenticano un altro
ragionamento, e cioè che deve essere vissuta guardando avanti. Se all'inizio della sua storia la psicologia dello sport si era data come
obiettivo quello di studiare la personalità degli atleti, ricercando modelli
cognitivi e comportamentali, utili a differenziare le caratteristiche degli
atleti dagli altri uomini, (le differenze sessuali nella pratica di uno sport,
nonchè ciò che distingueva le diverse specialità tra loro), sviluppando un
ampio spazio all'interno della psicodiagnostica; oggi l'obiettivo della
psicologia dello sport risulta molto cambiato. GLI OBIETTIVI Il primo punto da fissare con l'atleta è la meta che questi desidera
raggiungere; per poter lavorare con un atleta è fondamentale fissare un buon
obiettivo che contenga determinate caratteristiche, questo cioè deve essere:
GLI STRUMENTI Naturalmente, per poter lavorare sull'obiettivo concordato occorre instaurare
un buon rapporto con l'atleta. La psicologia non possiede altro strumento che
quello di operare sul livello organizzativo della mente dell'atleta, agendo
attraverso la comunicazione. L'IDENTITÀ E' molto più utile lavorare sull'identità dell'atleta, più che su tecniche
specifiche orientate a sviluppare particolari doti più in ordine quantitativo
che qualitativo per l'atleta, partendo dall'ipotesi che l'identità personale è
costruita attivamente dal soggetto stesso. I primi tre livelli, ambiente, comportamenti e capacità sono essenzialmente
legati al mondo del saper fare, rispondono a domande sul "come, dove,
quando" fare una certa cosa; gli ultimi due livelli sono legati al mondo
del saper essere, rispondono alle domande sul "perchè" si deve fare
una certa cosa. E' chiaro che il livello dei perchè è fondamentale per la
motivazione, parafrasando il filosofo Nietzsche:"Chi ha un perchè
abbastanza forte può sopportare qualsiasi come". LA MOTIVAZIONE Se si pensa all'impegno che si chiede ad un'atleta, il miglioramento continuo
e costante che deve riuscire a dare durante gli allenamenti, in un ambiente
spesso poco gratificante, in cui solo alcuni sport sono altamente riconosciuti e
premiati, ci si spiega quanto sia fondamentale il perchè che l'atleta si
costruisce, che costituisce la motivazione principale a continuare la sua
carriera agonistica. LE ABILITA' MENTALI Mettendo da parte il ruolo clinico dello psicologo, un aspetto questo
strettamente legato alla psicopatologia, nel lavoro psicologico con l'atleta si
andranno a sviluppare abilità mentali specifiche; un requisito essenziale a
questo livello è la conoscenza di sè che l'atleta deve possedere per arrivare
a considerare le sue forze e le sue debolezze fino a sconfiggere queste ultime
attraverso un pieno sviluppo personale. IL LINGUAGGIO La base di tutto l'intervento psicologico è il linguaggio, nel suo utilizzo
quotidiano non ci rendiamo conto dell'uso che facciamo delle parole, del loro
peso, del significato che con queste creiamo. IL SISTEMA Un utile modo di considerare l'atleta è quello di vederlo proiettato al'interno
del suo sistema di riferimento, prendendo in considerazione il contesto,
l'ambiente sociale in cui vive (società sportiva, team tecnico, amicizie,
famiglia), per valutare nel sistema di appartenenza quale ruolo gioca, come si
trova inserito, quali risposte sta dando, come reagisce alle richieste,
implicite od esplicite, delle persone di riferimento. IL TEMPO Il senso del tempo è l'elemento costitutivo della vita di un atleta che
continuamente si trova a misurarsi con il tempo, è quindi utile metterlo in
grado di gestirlo e programmarlo. LA STORIA Un atleta ha bisogno di pensare, sognare e costruire la propria storia, se
non si immagina nel futuro, se non si lascia condurre dai suoi sogni e non si
sente protagonista della sua storia, presto abbandonerà l'idea ed i propri
ideali. LE PROFEZIE In un lavoro costante di programmazione nel futuro, orientati dagli
obiettivi, impegnati costantemente alla progettazione di se stessi, è poca cosa
ciò che ci si può permettere di lasciare al caso. Sono molti i momenti
dedicati ad anticipare ciò che succederà nell'immediato futuro, è dunque
utile costruirsi delle "profezie" vincenti, e dare così spazio a idee
e pensieri orientati al futuro nel modo in cui desideriamo vederlo realizzato.
Il nostro comportamento, infatti, risulta continuamente orientato e guidato dal
modo in cui anticipiamo glieventi che seguiranno. IL RITO L'atleta ha essenzialmente bisogno di costruirsi uno stato mentale (un
preciso equilibrio psico-fisico di pensieri e sensazioni), che gli permetta,
durante tutta la prestazione, e in particolare nei momenti più significativi,
di avere la massima concentrazione, determinazione, e prontezza di esecuzione;
uno stato d'allerta in cui tutto attorno a lui si ferma, dove il tempo ha
un'altra dimensione, dove il controllo è totale e l'atleta sviluppa quelle che
io definisco le doti dell' "essere", non più un individuo capace di
eseguire e sviluppare l'azione, ma in grado di trasformarsi nell'azione stessa. LA MEDITAZIONE Di contro al rito si pone l'abitudine, l'altra faccia dell'allenamento, un
momento utile ma delicato allo stesso tempo: utile per il fatto che permette di
superare facilmente tutto ciò che tecnicamente è stato appreso dall'atleta; ma
che risulta dannosa nel momento in cui viene persa completamente l'attenzione su
ciò che si fa, svolgendo l'intera attività in modo routinario ed automatico. L'IPNOSI E'a questo livello di sport come meditazione che il lavoro dello psicologo
risulta più attinente, dal momento che, l'atleta sviluppando doti strettamente
collegate al lavoro mentale, entra in uno stato di trance, uno stato di coscenza
alterato, differente da quello legato alla routine quotidiana, in cui l'io
esercita delle capacità e delle doti oltre ai limiti della propria coscenza. OLTRE I LIMITI E' il lavoro sulla presenza che si intende sviluppare all'interno della
psicologia dello sport; la forte presenza richiesta all'atleta durante le sue
prestazioni, l'espressione dei suoi pensieri, gli permette di sviluppare dei
fenomeni di fusione tra azione e consapevolezza, portandolo a convergere la
propria attenzione su un limitato campo di stimoli, dandogli chiarezza di
esecuzione del gesto atletico e padronanza sul proprio ambiente. CONCLUSIONI Siamo quello che pensiamo. Tutto ciò che siamo nasce
con i nostri pensieri...Noi creiamo il nostro mondo. di Marco Chisotti BIBLIOGRAFIA
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Psicologia e Sport
di Marco ChisottiINTRODUZIONE
S. Kierkegaard.
Ora il quesito più impellente posto dai tecnici e dagli atleti allo psicologo,
come spesso al fisiologo o al medico è: "Come posso compiere prestazioni
sempre più eccellenti?". In tale contesto la psicologia dello sport si è
trovata a passare da un livello teorico alla pratica, divenendo in tal modo
operativa.
Oggi ogni atleta sa quanto sia vero che il primo reale nemico da battere è il
fantasma della paura, dell'insicurezza, della bassa stima di sè, prima ancora
dell'avversario.
Lo scontro con l'avversario è episodico, un momento nella vita dell'atleta; per
tutto il resto del tempo ciò che conta è una lineare e continua crescita
fisica e mentale, attraverso un lavoro che dura anni, per tutta la carriera
agonistica dell'atleta.
Dunque essere operativi nell'ambito dello sport significa sviluppare un
programma di allenamento per la mente, al pari dei programmi di allenamento
fisico; ma ancor prima significa lavorare su quegli elementi che costituiscono
la base psicologica di un atleta, e che gli permettono di utilizzare al meglio
le proprie risorse, attraverso un opportuno allenamento mentale.
- chi (quali son le persone coinvolte nel mio obiettivo?
- come (quali comportamenti produrranno il mio cambiamento?
- quando (quali tempi scandiranno il passaggio dal mio stato presente a
quello desiderato)?
- dove (quali saranno i luoghi entro i quali produrrò il mio cambiamento?)
- perchè (quali sono le motivazioni di cui dispongo per poter realizzare il
mio cambiamento?)
E' fondamentale incontrare l'atleta sul suo terreno, cogliendo gli elementi più
significativi dell'esperienza da lui-lei narrata, annotando tutto ciò che è
possibile osservare, ascoltare e percepire durante il colloquio. La persona deve
sentirsi rispettata in ciò che lei considera importante, le sue credenze, le
sue convinzioni sul mondo e sulla vita.
Il primo passo da fare, dunque, è trovare il modo per sintonizzarsi con
lui-lei, utilizzando il più possibilmente il suo stesso linguaggio che
rappresenta il modo attraverso cui l'atleta si raffigura il mondo e lo connota
di significati.
Solo in un momento successivo ci si adopererà a fornire una guida ragionata in
direzione di nuovi orizzonti, incentivi e risorse utili all'atleta per
raggiungere i propri risultati.
La prima fase dell'incontro è tutta orientata a definire un terreno d'accordo e
di intesa con il mondo interiore dell'atleta.
Questo tipo di approccio non è solo retaggio dello psicologo dello sport, ma
offre un'utile base per uno sviluppo costruttivo del colloquio, sia in ambito
clinico che formativo
A tale proposito è bene considerare cosa intendo per identità del soggetto; il
modello di identità che propongo deriva da un lavoro sui modelli logici dello
studioso Gregory Bateson. I livelli logici possono essere visti come una lista
di priorità attraverso cui l'individuo organizza la sua esperienza; i livelli
inferiori della lista possono andare ad influenzare i livelli superiori, mentre
questi ultimi, nel momento in cui vengono modificati, porteranno sicuramente dei
cambiamenti ai livelli inferiori.
I livelli logici dell'esperienza, partendo dal più basso e andando via via
crescendo a quello superiore, sono:
Se possediamo una serie di ragioni forti per cambiare possiamo modificare in
pochi minuti ciò che non siamo stati in grado di fare per anni.
La motivazione è strettamente collegata alla direzione e all'intensità di un
comportamento, è dunque fondamentale nel momento in cui l'atleta lavora sulla
propria costruzione fisica e psicologica. La motivazione costituisce la chiave
d'accesso ai risultati, lavora attraverso i bisogni dell'atleta, gli stimoli
positivi, l'interesse e il divertimento, la ricerca di affiliazione verso
l'allenatore ed i compagni, il bisogno di affermazione e di riuscita.
Risulta comunque complesso distinguere tra loro le specifiche motivazioni,
all'interno dello sviluppo psico- fisico dell'atleta, essendo queste
strettamente legate ai bisogni di crescita, sviluppo e consolidamento delle
abilità apprese durante la propria crescita attraverso i modelli parentali,
culturali e sociali.
Tra le abilità mentali più significative si possono annotare l'abilità di
immaginazione, di gestione dell'energia mentale, di gestione dello stress e
l'abilità attentiva.
Vediamo ora come collegare assieme queste abilità; una buona gestione
dell'energia mentale permette di dominare lo stress e rilassarsi, solo quando si
è rilassati si è in grado di utilizzare al meglio l'immaginazione. Mediante
l'immaginazione l'atleta può migliorare la sua concentrazione; questa, assieme
all'attenzione verso ciò che si fa, permette poi di puntare su specifiche mete.
Una meta concreta e realistica rafforza il comportamento attivo, incrementando
l'energia mentale, che una volta liberata permetterà all'atleta un ulteriore
immaginazione dei propri sogni, mete e traguardi, rendendoli sempre più
attuabili, sviluppando in tal modo ulteriormente le proprie abilità attentive.
Nel momento che lo stress è gestito in modo efficace, l'atleta è più in grado
di mettere a fuoco i propri obiettivi, di concentrarsi, soprattutto di
utilizzare in modo specifico le potenzialità ideo-motorie della sua mente,
arricchendo la propria energia mentale e via di seguito, in un circolo a spirale
che torna su se stesso sempre più arricchito dell'esperienza precedente.
L'evoluzione agonistica dell'atleta trova in tal modo la possibilità di
svilupparsi, attraverso ogni singola abilità, in piena armonia con la vita
stessa.
Il linguaggio porta con sè una grande funzione, se apparentemente passa per
essere descrittivo, in realtà è costruttivo. I cronisti sportivi spesso
inciampano nella loro illusione descrittiva, dinnanzi ad una prestazione si
mettono nella condizione di dire com'è avvenuto un fatto, in realtà il fatto
risulterà da come lo descrivono: in apparenza "io dico com'è", in
realtà "è come lo dico!".
Ancora più forte risulta il linguaggio usato dall'atleta nel suo dialogo
interno; i messaggi che questi manda a se stesso sono fondamentali alla riuscita
della sua prestazione. La mente ha una grande abilità che può risultare un
forte limite, quella di orientarsi, spesso in modo inconsapevole, in funzione
dei propri pensieri. E' il Sistema Attivante Reticolare
(SAR), in particolare, che si interessa di mettere in collegamento la mente (i
pensieri) con il corpo (le abilità percetive) , orientando in tal modo
l'attenzione del soggetto sulle cose per lui più significative.
Ora, dinnanzi ad uno stesso stimolo posso reagire in modo positivo (ottimistico)
o negativo (pessimistico), a seconda di come interpreto i fatti, dal momento che
il sistema percettivo è in grado di analizzare solo la quantità di uno stimolo
e non la qualità, che viene decisa, o inferita, dal sistema cognitivo .
E' dunque essenziale che l'atleta utilizzi una sorta di "dieta
mentale", in cui nutrirsi di parole orientate alla sua meta, che gli diano
la giusta carica e gli permettano di essere ottimista, convinto e determinato
verso le sue risorse.
Il nostro vocabolario presenta una netta preponderanza di parole a connotazione
negativa nella descrizione delle emozioni. La lingua inglese ad esempio contiene
circa un migliaio di parole per esprimere emozioni positive, mentre sono ben
duemila le parole che esprimono emozioni negative. Si pensi a quanti vocaboli
vengono usati da psichiatri e psicologi per descrivere le varie forma di
patologia mentale e quanto pochi vocaboli vengano usati per descrivere gli stati
di benessere. Una persona sana, che sta bene, è una persona che sta bene e
basta, non esistono particolari modi per descrivere lo stato di benessere.
Culturalmente siamo plasmati dal nostro linguaggio, le parole modellano le
nostre convinzioni, influenzano i nostri stati d'animo e dirigono le nostre
azioni.
L'atleta, come tutte le altre persone, va aiutato a comprendere il proprio
linguaggio, a porsi le domande corrette, ad entrare nel significato che dà alle
cose, per far luce sulle opinioni, le credenze e le convinzioni che lo orientano
nelle scelte, che lo limitano nei risultati, fino a fornirgli una chiarezza di
intenti e volontà.
E' sorprendente come molte risposte ad eventuali difficoltà, verso la
realizzazione di certi progetti, vadano ricercate nella famiglia, o nel sistema
di riferimento, piuttosto che nel singolo individuo. Spesso si riscontrano tra i
genitori degli atteggiamenti di svalutazione diretta allo sport intrapreso dal
loro figlio, messaggi ambigui o un'incongruenza tra i messaggi dei due genitori.
Al contrario, spesso è possibile rilevare una grande intesa con il proprio
partner affettivo, associata ad una grande volontà di riuscita, nel realizzare
il proprio obiettivo.
La famiglia d'origine e/o acquisita, costituisce uno dei pilastri di sostegno
per un atleta, se viene a mancare il suo appoggio il rischio è quello che la
situazione entri in stallo, si creino dubbi sulla motivazione e si abbia un
crollo di rendimento.
Spesso sono la società sportiva, i compagni, l'allenatore a sostituire la
partecipazione e l'affetto della famiglia; è sorprendente vedere come i nuovi
legami affettivi siano in grado di restituire l'identità a ragazzi altrimenti
confusi e sbandati.
L'organizzazione del lavoro va dosata in tutte le attività che compongono la
vita di un soggetto. Non è possibile immaginare una giornata totalmente
orientata agli impegni, la scuola, gli allenamenti, il lavoro, la famiglia senza
lasciare altro spazio alla persona. Facendo così si rischia di impoverire gli
altri aspetti della vita e di inimicarsi una parte dell'atleta più orientata al
divertimento, allo svago e alla creatività.
Spesso ci si trova dinnanzi dei ragazzi super impegnati, completamente assorbiti
dalla loro quoitidianità, dalle loro abitudini, senza più la forza di
affermare in prima persona cosa desiderano veramente.
Esiste uno sviluppo fisiologico nella vita mentale di ogni individuo, che
richiede un'attenzione particolare se si perde di vista il senso dele
proporzioni e del tempo si rischia di creare degli automi che, ben presto,
abbandoneranno lo sport considerandolo un impegno troppo oneroso, che chiede
tanto e dà poco.
Costa molto essere protagonisti in un mondo che, troppo spesso, ci abitua alla
passività; costa molto ed è difficile motivare un individuo a conquistarsi il
proprio valore, attraverso la costruzione della propria persona. E' più
semplice offrire dei surrogati legati più all'immagine che non alla sostanza,
che non offrire degli spazi entro cui una persona, rappresentando se stessa, è
in grado di realizzarsi. Gli Americani sono un popoplo di pionieri che si sono
conquistati il loro territorio, che hanno sempre esaltato le doti umane come
forza e coraggio, e continuano tutt'oggi a farlo promuovendo l'impegno nello
sport, tenendo in alta considerazione chi si impegna attraverso questo nella
vita.
Il mito di un grande atleta precede quasi sempre quest'ultimo, alimentando ciò
che vien detto su di lui, anche quando in realtà l'atleta stesso non è in
grado di soddisfare le attese; differenti sono le aspettative direttamente
fornite dall'interessato, più ancora che un giudizio espresso dall'esterno,
queste sono in grado di dimostrarsi vere, dal momento che è l'atleta stesso a
descriverle ed alimentarle attraverso i suoi pensieri, orientando in tal modo
l'intero apparato precettivo
E' dunque fondamentale lavorare sulle aspettative e sul modo di affrontare le
conseguenze della propria attività nel futuro, prefiggendosi nei dettagli ciò
che si desidera raggiungere.
"Io sono la corsa!" dice il maratoneta, dove l'identità stessa
dell'atleta si confonde con il gesto atletico, così afferma lo slalomista:
"Mi sento un tutt'uno con il mondo esterno, il mio corpo, le mie gambe, gli
sci e la neve divengono una cosa unica e non posso che svolgere tutto nel
migliore dei modi".
Questo è un momento "magico", il momento in cui si cambia la
percezione del soggetto che sviluppa l'azione. Solo nell'istante in cui
l'arciere si sente un tutt'uno col proprio arco, ed è in completa armonia con
se stesso, può percepire quando scoccare la freccia, sicuro che questa
raggiungerà il bersaglio.
Un particolare interessante è che alcuni studi antropologici hanno messo in
luce come certe lingue indigene Africane abbiano una particolare struttura
linguistica, dove l'azione diviene il soggetto principale della frase, e
l'oggetto passa ad essere un complemento dell' azione stessa: per un europeo
"il cavallo galoppa", per la loro percezione "il galoppo
cavalla!".
Il rito è una pratica fondamentale e personale attraverso cui l'atleta, dando
un significato preciso alle sue azioni (riscaldamento, allunghi, balzi,
ricognizione etc.), arriva ad essere in grado di creare quel giusto clima,
attorno a sè, che lo rende in grado di accedere a tutte le sue risorse
interiori, in modo sinergico, favorendo la giusta sincronia d'attivazione tra i
suoi muscoli agonisti e quelli antagonisti.
Nel momento che uno stimolo spinge una persona a dare una risposta, questa si
trova come guidata da un meccanismo automatico di stimolo-risposta, si pensi a
quando si ha prurito e ci si gratta, o si fa lo spelling del proprio cognome
essendo incorsi molte volte nella sua storpiatura; il soggetto in questo caso
non è presente a se stesso, non media l'azione, interponendosi tra stimolo ed
azione col proprio pensiero.
Tale momento di riflessione è ciò che gli orientali descrivono in modo esteso
con il termine meditazione, un analisi di ciò che mi perturba e l'azione che mi
sento chiamato a sviluppare, e decidere eventualmente sul da farsi. In questo
momento meditativo io posso cambiare l'azione, decidere di non agire, o
interporre un tempo tra lo stimolo e l'azione, arrivo a possedere un controllo
assoluto attraverso la mia semplice presenza.
Essere presenti permette di decidere, di scegliere, è una qualità fondamentale
per l'uomo, è il momento in cui l'io veramente esiste e ne è pienamente
consapevole.
Personalmente ritengo che la pratica dello sport, per ciò che richide al
soggetto che la esercita, possa essere considerata per l'uomo occidentale un
momento di meditazione, al pari di molte forme meditative espresse dagli
orientali.
In particolare poi nel momento in cui l'atleta arriva a considerarsi un tutt'uno
con l'azione, si è dinnanzi ad un fenomeno molto simile all'illuminazione, solo
protratta nel tempo, descritta nei modi più inconsueti e svariati dalla pratica
dello Zen.
Lascio al lettore lo spazio per valutare tale considerazione; lo sport è un
rito costruito attraverso il proprio corpo, portato avanti per un tempo
sufficentemente lungo da permettere di identificarsi completamente in ciò che
si fa. Molte tecniche meditative sono azioni ripetute per un lungo tempo, fino
ad essere in grado di calarsi completamente in ciò che si fa; per questa
ragione mi sento di appoggiare l'idea che lo sport, sia quello professionistico
che quello dilettantistico, rappresenta un intenso momento meditativo per la
mente.
Questo stato mentale è quello che si desidera raggiungere e mantenere quando ci
si trova a lavorare con un atleta; la parte difficile del lavoro, infatti, non
è tanto raggiungere ogni tanto un tale livello, quanto mantenere ed attivare
questo stato mentale, ottimale per la prestazione, tutte le volte che se ne ha
bisogno.
Entrano in gioco, durante la trance, un insieme di energie che l'atleta deve
essere in grado di gestire per tutta la durata della prestazione, solo
attraverso una precisa modulazione dell'allenamento mentale è garantita la
tenuta; altrimenti l'atleta è costretto ad accontentarsi di risultati casuali e
sporadici.
A questo punto si è di fronte al controllo di un unico flusso di energia, un
espressione completamente liberadagli ostacoli cognitivi, che scorre fluida
dalla mente al corpo.
Una pratica costante e continua dell'allenamento mentale, permette un più
facile accesso alle alle proprie risorse interne (anche al di la dell'ordinaria
percezione dello spazio e del tempo, e dei propri limiti fisiologici, come molti
atleti sono stati in grado di dimostrare), come ad una sorgente inesauribile di
energia. Una fusione tra le tecnologie mentali e quelle fisiche permetterà, ad
atleti e squadre del futuro, di superare quei limiti che oggi sono ancora troppo
legati a certe credenze.
Buddha
In realtà il grosso limite e la prima opportunità che dimora in
ognuno di noi è proprio costituita dai pensieri, questi sono ciò che possiamo
conoscere, e coi quali ci dobbiamo misurare.
Permettere all'atleta di esprimere il proprio stile e le proprie abilità nel
modo migliore, aprire così la strada a nuovi traguardi, dove l'uomo mette
costantemente a prova se stesso, in una danza continua che rappresenta la vita;
questo è ciò che penso di portare avanti nell'ambito dello sport, questo è ciò
che ritengo esprima la psicologia nell'ambito dello sport.
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