da Leonardo a Dunlop
Tratto da:Leonardo,
ancora lui. Sembra doversi al suo genio la prima idea concreta di bicicletta.
Precursore di tante scoperte e di tante invenzioni, fu forse studiando macchine
per fare volare l'uomo che Leonardo da Vinci pensó anche ad un veicolo a due
ruote con trasmissione a catena. Durante i restauri del Leonardesco Codice
Atlantico, eseguiti nel 1966 a Madrid, é stato scoperto il disegno di un
mezzo straordinariamente simile alla bicicletta: un telaio portante, due ruote
uguali tra loro, la trasmissione a catena azionata da un meccanismo a pedali.
Dopo l'intuizione di Leonardo, dobbiamo attendere parecchio tempo prima di
rivedere una "macchina" simile alla bicicletta. I grandi commerci che
amplificarono il grado di conoscenza degli esseri umani, resero possibile, nel
1610 la realizzazione di una macchina azionata dalle gambe. Il principe romano
Francesco Paretti, bisnipote di Sisto V, si uní al corteo di carnevale con un
cocchio che grazie ad un congenio meccanico veniva fatto avanzare con la spinta
delle gambe.
E' piu o meno sempre in quegli anni che due scrittori inglesi raccontano nel
loro diari di viaggio in Cina di aver conosciuto un gesuita napoletano di nome
Riccio che sarebbe vissuto a Chin-Chiang-Fu e che avrebbe progettato e costruito
una macchina azionata con le gambe.
Per
trovare il primo vero antenato della bicicletta dobbiamo comunque aspettare fino
alla Rivoluzione francese. E' il 1790 (secondo alcuni il 1791) il primo anno di
grazia della storia delle due ruote: a Parigi nasce il celerifero, a costruirlo
un eccentrico nobile francese: il conte Mede de Sivrac. Era costituito da un
asse di legno che aveva anche funzione di sella, due forche e due ruote uguali,
sempre in legno. Diventó ben presto popolare, peró soprattutto come giocattolo
per gli adulti.
Il
conte de Sivrac non brevettó la sua invenzione che cosí fu ripresa da molti
costruttori. Fabbri, carradori, maniscalchi cominciarono a creare modelli a
forma di cavallo, cane, leone e serpente, simili a quelli che ancora oggi si
vedono nelle giostre, dando cosi un tocco di effimero al veicolo di de Sivrac. I
giornali dedicarono spazio alla nuova moda. C'é chi afferma che nei primi anni
dell'ottocento il velocifero venisse usato da alcune ditte per il servizio a
domicilio; una specie degli attuali pony-express su ciclomotori.
"Aller Anfang ist schwer":
ogni inizio è difficile. Sembra che questo fosse il motto del barone tedesco
Karl Friedrich Christian Ludwing Drais inventore dello sterzo ma non solo,
infatti suo il progetto di un cannone in grado di sparare molti colpi al minuto,
di un calcolatore di triangoli e di altre cose.
La draisienne (termine assegnato dai francesi all'invenzione di Drais) restò
comunque la sua più grande invenzione la quale si fa risalire al 5 aprile del
1818.
A causa però della sua pesantezza e pericolosità la draisienne conquistò a
Parigi (luogo dove l'invenzione fu presentata) una popolarità negativa.
Fu a Londra che la nuova macchina ebbe successo, infatti Dennis Johnson pensò
di rendere il mezzo più leggero e più solido costruendolo interamente in
ferro. La moda londinese non durò a lungo, ma servì per riconquistare i
parigini i quali apportarono alcune piccole modifiche come il sellino in pelle,
il contachilometri sul volante e il parafango sulla ruota posteriore.
Il
3 settembre del 1818 l'Imperial-regia Direzione generale di Polizia emanò un
bando contro l'uso dei velocipedi durante la notte ritenendoli pericolosi per
gli stessi passeggeri. Il barone Drais, rientrato in Germania poco soddisfatto
dell'esperienza parigina, si ritirò in un convento di Karlsruhe dove morì il
10 dicembre 1851. Nel 1839 Kirkpatrik Mac Millan un fabbro scozzese creò il
primo modello di bici azionata senza toccare terra con i piedi. Mac Millan
inventò così la draisienne a leve. La macchina ebbe successo e il fabbro
scozzese non depositò mai il brevetto. Con la sua idea la draisienne acquistò
l'indispensabile leggerezza nell'equilibrio.
Nel marzo del 1855 Pierre Michaux, semplice carradore di Godot-de-Mauroy,
lavorando su una vecchia draisienne di un suo cliente pensò in un primo momento
di applicare due poggiapiedi alla forcella anteriore per poter riposare quando
il veicolo aveva preso velocità. In seguito applicò due piccole bielle
all'asse della ruota anteriore: in questo modo era possibile far girare la
ruota. Erano nati i pedali. Superata la diffidenza dovuta ai notevoli problemi
di equilibrio, i velocipedisti di Parigi si affezionarono sempre di più alla
nuova macchina, che fu chiamata biciclo. I primi bicicli Michaux avevano una
ruota anteriore di 90 centimetri di diametro e sviluppavano 2,80 metri a
pedalata. Dal momento che i pedali giravano direttamente sulla ruota anteriore,
il biciclo avanzava di una distanza pari alle dimensioni della ruota: in molti
pensarono che per aumentare la velocità era necessario aumentare la grandezza
della ruota motrice. Un meccanico parigino, Victor Renard, nel 1877 creò il
"mostro": un biciclo con una ruota anteriore di 3 metri con uno
sviluppo di 9 metri a pedalata per un peso complessivo di 65 chili. Era nato il
gran-bi il quale diventò anche strumento di spettacolo nei circhi. L'evoluzione
dal biciclo alla bicicletta risale al 1866, quando l'inglese Edwar Cooper costruì
le prime ruote comletamente in ferro con cerchi piatti. Nel 1877 un importante
novità: il marsigliese Rousseau, per aumentare la velocità, costruì i primi
ingranaggi moltiplicatori con trasmissione a catena applicati alla ruota
anteriore di un "piccolo biciclo". Ma è nella seconda metà degli
anni settanta che compare una novità importantissima: la trassmissione a
catena. Eccola, finalmente. E'lei. Anzi, lui: il bicicletto.
Il primo uomo ad aver pensato, immaginato, disegnato la catena è stato comunque
(come al solito, verrebbe voglia di dire) Leonardo da Vinci: chiari a questo
proposito certi schizzi del Codice Atlantico. Precursore di tante scoperte,
insomma, Leonardo non poteva non aver pensato alla bicicletta, come abbiamo
veduto. L'Inghilterra fu la prima a credere nel bicicletto e a produrlo in
serie, segnando così (non senza problemi, visto che era anche una questione di
mercati da conquistare e di conflitti industriali) l'inizio della fine per il
biciclo. Ma il sorpasso era inevitabile: ben presto si sarebbe constatato che,
con la trasmissione a catena, una ruota di 80 centimetri di diametro sviluppava
lo stesso passo (metri 4,70) di un gran-bi con la ruota anteriore di un metro e
mezzo. Nel 1878 uscì il primo modello: Safety, che -guarda caso- vuol dire
sicurezza. La proporzione tra le ruote era invertita: piccola l'anteriore,
grande la posteriore, trasmissione a catena. Negli anni successivi si
registrarono molti tentativi di migliorare il modello Safety, fino ad arrivare
al'85. A Coventry fu costruito un veicolo, chiamato "il pioniere":
telaio a forma di croce, freno a leva, sella elastica, parafanghi, ruote con i
raggi, fanale. Una macchina molto simile alla nostra, solo con la ruota
anteriore più piccola della posteriore. Ulteriori miglioramenti furono
apportati nei modelli successivi, in particolare nel Rover. In Francia si impose
il modello Clément; nell'84 il torinese Vianzone costruì il primo bicicletto
italiano, con ruote cerchiate in corda. Il problema era la scarsa robustezza del
telaio: la soluzione fu trovata dal costruttore di Nottingham Thomas Humber, che
nell'84 costruì il primo telaio "quadro", dal quale deriva quello
ancora in uso. Gli inglesi avevano dato un soprannome al velocipede: boneshaker,
scuoti-ossa. Nonostante
tutti i progressi tecnici non era stato ancora eliminato l'inconveniente delle
vibrazioni causate dalle ruote piene su strade malridotte. La soluzione (e si
arriva così all'ultimo stadio della bicicletta) viene trovata a Belfast del
febbraio 1888 da un veterinario scozzese: John Boyd Dunlop. Per rendere più
scorrevole il triciclo che aveva regalato al figlio, il dottor Dunlop ebbe
l'idea di rivestire le ruote con tubi di gomma che contenessero aria. Costruì
un piccolo tubo di para vulcanizzata, lo gonfiò usando una rudimentale valvola,
lo applicò a un disco di legno e fece una prova con la ruota del triciclo del
figlio: la ruota non arrivò dall'altra parte del cortile, mentre il disco con
il rudimentale pneumatico rimbalzò sul muro opposto. Era fatta. Applicò la sua
idea al triciclo del figlio. Un successo: il 7 dicembre 1888 le autorità
inglesi gli rilasciarono il brevetto. L'idea dei pneumatici era già venuta 43
anni prima all'ingegnere inglese Williams, ma Dunlop è stato il primo a
realizzarla ed applicarla. I pneumatici Dunlop avevano un difetto: erano
difficili a ripararsi. In compenso davano risultati eccellenti. In gara le prime
biciclette che li montavano non avevano avversari. Nel 1891 il francese Michelin
risolse il problema inventando le gomme smontabili. Un anno dopo Pirelli
perfezionò ancora l'idea di Dunlop, progettando la copertura smontabile a
tallone che facilitava ancora di più la sostituzione del pneumatico: lo stesso
Pirelli inventò un tubolare speciale per le corse su pista. La bicicletta era
ormai completa.
La
storia dell'impero Dunlop cominciò in quella notte di luna dell'ultimo giorno
del febbraio 1888, sotto un sereno cielo irlandese.
John Boyd Dunlop aveva 48 anni e una lunga, folta barba da quacchero.
Il dottor Dunlop, titolo di studio in veterinaria preso al Royal College di
Edimburgo, si era trasferito da alcuni anni a Belfast per motivi di lavoro.
All'inizio dell'88 aveva regalato al figlio Johnny di 10 anni un triciclo
Coventry, uno dei divertimenti preferiti per i bambini dell'epoca.
Ma si rese subito conto che, con quel triciclo dalle ruote in legno rivestite di
gomme piene sottili, il piccolo Jhonny era costretto a fare molta fatica,
soprattutto sui terreni fangosi.
Continui sobbalzi, rischi di cadute a ripetizione.
Decise allora di trovare una soluzione ai problemi del figlio.
Doveva rendere più scorrevoli quelle ruote.
L'ispirazione - secondo alcuni - gli venne osservando i guanti di caucciù che
usava nel suo lavoro per gli interventi sugli animali.
Ma è più verosimile che a dare lo spunto al dottor Dunlop sia stato il pallone
da football del figlio: intuì che avrebbe potuto ricoprire le ruote con
cuscinetti ad aria gonfiabili.
La sera del 28 febbraio, verso le 22, fece provare per la prima volta al piccolo
Jhonny il triciclo con le gomme pneumatiche.
Il bambino pedalò per circa un'ora, percorse strade anche molto accidentate, e
tornò indietro felice. "Mi è sembrato di camminare sulle nuvole"
dicono che sia stato il primo, sbalordito commento del piccolo Dunlop.
Il veterinario scozzese mise da parte il triciclo dell'esperimento e si fece
costruire dalla casa Edlin & Sinclair un nuovo triciclo, senza ruote, con la
forcella più larga e vi applicò le tre ruote pneumatiche.
Con quel nuovo triciclo che "camminava sulle nuvole" Jhonny si
divertiva a vincere le sfide col figlio di sir Edlin, suo amichetto
inseparabile.
Un
giorno il dottor Dunlop invitò i due costruttori a mettere alla prova il suo
rivoluzionario triciclo.
Edlin e Sinclair, che oltretutto erano due buoni corridori, con i loro tricicli
a gomme piene contro il piccolo Jhonny.
I due uomini accettarono la sfida e grande fu la sorpresa nel vedere con quale
facilità pedalasse il bambino.
Proposero allora a Jhonny di misurarsi con loro in una volata.
Risultato: Il piccolo Dunlop vinse facilmente, sospinto dalle sue tre nuvole.
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